10 Agosto – Racconto di Enrica Baraldi

Ormai ci siamo o meglio dovremmo esserci, la data prevista 8 agosto è  passata, siamo un po’ in ritardo e ancora niente si muove.

O forse è iniziato qualcosa, ma io, anche se primipara attempata, non ho, come succede a tutte, sentore preciso di quanto sta per accadere o forse ancora non voglio saperlo: nel pomeriggio ho visto la mia amica un po’ tesa nel guardare l’orologio ogni volta che dicevo qualche ohi, senti che malino adesso e poi dopo un certo tempo, eccolo di nuovo. Mi sono accorta che a un certo punto si è allontanata,  immagino per telefonare al futuro padre, mio marito,  e avvertirlo che forse forse sarebbe stato meglio rientrare un po’ prima del solito, magari facendo un’eccezione rispetto ai suoi soliti improponibili orari di lavoro: vieni a casa, mi sa che ci siamo!

Nel frattempo ancora ignara mi porto a fatica in giro per casa, è il caso di dirlo perchè per dimensione sono una specie di mongolfiera in mutande e cannottiera: il caldo di agosto non aiuta, anche se la nostra casa è fresca e ventilata.

Ora di cena,  finalmente  il futuro padre si materializza  e solo allora la mia compassionevole amica ci saluta, con la sua discrezione gentile ha aspettato per non lasciarmi sola, immaginando  per sua passata esperienza i prossimi eventi.

Siamo rimasti noi, ancora inconsapevoli che questa sarà l’ultima sera in cui saremo soli, da qui in poi saremo una famiglia, padre, madre e una piccola bambina. Sì perchè lo sappiamo da tempo, chi sta per arrivare avrà in testa un fiocco rosa, si chiamerà Carolina, come la mia adorata nonna.

Ma  il travaglio deve ancora iniziare sul serio, siamo ancora qui tranquilli a guardare la televisione sul vecchio e confortevole divano che ci accoglie da anni, un po’ più  scomodi data la mia mole attuale. Stanno trasmettendo un vecchio film in bianco e nero, non so su quale rete, si tratta di un classico del giallo: “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie,   che complice il caldo ci fa assopire.

Poi all’improvviso qualcosa cambia, quelle piccole  contrazioni  si trasformano in un dolore sconosciuto, una specie di morsa che attanaglia da dentro e che per fortuna dura poco, ma poi,  stanne certa,  ritorna e in modo sempre più violento e a distanza più ravvicinata. Allora sono quelle buone, quelle vere?

Il divano non basta più a contenermi, devo per forza rotolare sul tappeto, accucciarmi per terra, cercando una posizione che sia la migliore possibile per tollerare questi attacchi. E nel frattempo la mente realizza che ci siamo, questa volta non si torna indietro, andremo fino in fondo e ne usciremo del tutto cambiati.

La notte se ne frega di noi e di quello che ci sta succedendo, è calda e accogliente e lunga, molto lunga per una come me che vorrebbe vedere la luce del giorno, con l’illusione che così tutto sarebbe già concluso nel migliore dei modi. La notte invece rallenta ogni cosa, il tempo non passa mai, è scandito solamente da quelle terribili contrazioni il cui ritmo sembra accelerare in modo allarmante.

Cerco e voglio resistere il più possibile qui a casa, rinviare il più possibile la partenza per l’ospedale, anche perchè quanti falsi allarmi ci sono e poi ti rispediscono a domicilio: non voglio correre il rischio. Ripasso tutti gli accorgimenti che ci hanno insegnato nel corso, respiro a cagnolino, posizione fetale, bagno caldo, passeggiata su e giù per casa alla meno peggio, mentre mi contorco per il male.

E intanto sullo schermo passano le immagini più assurde,  nel cuore della notte trasmettono un corso di astrofisica per studenti notturni, televendite di pentole e materassi, video musicali frastornanti per suoni e colori.

La notte è impietosa,  non cede, è lunghissima ed estenuante, resta la protagonista indiscussa di questa impresa;  ancora non so che questa  sarà la prima notte insonne di una lunga serie, perchè da ora in poi tutti i nostri ritmi di vita saranno rivoluzionati da quelli imprevedibili  di una piccola creaturina sempre affamata e bisognosa di coccole.

E poi ci decidiamo, non posso più aspettare,  è ora di andare : la valigetta è pronta da tempo e via.

Fuori è ancora buio mentre con la mia mitica erre quattro rossa arriviamo in ospedale e qui, in breve,  mentre finalmente la notte cede alle prime luci dell’alba, nasce Carolina: è il 10 agosto, un bellissimo giorno per venire al mondo.

 

Enrica Baraldi

Da un po’ ho scoperto che scrivere mi fa bene.