STORIA DI JACOPO – Racconto di Emilio Rossi

(Leggenda metropolitana)

Erano ormai passate le dieci quella sera quando il camion di Jacopo si inoltrò  stancamente nelle strette gole della Valganna. Una notte plumnbea e piovigginosa, intrisa di una malinconia mortale. Nella penombra appena illuminata dai fari, Jacopo scorse all’improvviso una sagoma indistinta che gesticolava animatamente. Cosa poteva essere accaduto? Un incidente, una disgrazia? Rallentò, guardò meglio con aria circospetta, poi, finalmente, scorse, sul ciglio della strada, una donna. Indossava un semplice vestito grigio ed era bagnata fradicia. Jacopo non ebbe il coraggio di passare oltre, non lo sfiorò neppure lontanamente il dubbio che potesse trattarsi del solito trucco per derubarlo. Del resto che cosa avrebbe potuto pretendere da lui che se ne andava in giro al verde o quasi, con poche lire in tasca, appena sufficienti per il suo pasto quotidiano? Si fermò, aprì la portiera e la fece salire. Dov’era diretta? Doveva scendere a Mesenzana. Lavorava al calzaturificio di Varese e quella sera, uscita in ritardo, aveva perso il pullman. Inutilmente aveva cercato un passaggio, ma tutti l’avevano scambiata per un’avventuriera in cerca di facili prede. Tremava come una foglia e Jacopo, mosso a compassione, le offrì il suo impermeabile. Non doveva preoccuparsi: nei giorni successivi sarebbe passato lui da casa sua per riprenderselo. Parlarono del più e del meno, ma lei, volgendo distrattamente il viso verso il finestrino disse quasi sottovoce: «Brutta faccenda questa mattina!» Fu come se Jacopo avesse ricevuto un pugno nello stomaco. Che ne sapeva lei di quello che gli era capitato quella mattina? Ora la donna lo guardava fissamente negli occhi. Jacopo aveva la netta sensazione che gli leggesse in fondo all’anima. In quel momento si sentiva come un bambino reticente di fronte alla mamma dopo una marachella. Aveva un incontenibile bisogno di strapparsi dal cuore quel cruccio e incominciò a raccontare. Il terreno era viscido per la pioggia battente e una nebbiolina a banchi,  giocando a rimpiattino, era calata all’improvviso sulla strada. «Ma non ti ha impedito di vedere il cartello!». «Quale cartello?» rispose Jacopo aggrottando le sopracciglia, sapendo di mentire  spudoratamente anche a se stesso. Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi: quelle parole «ATTENZIONE SCUOLA» si accendevano a tratti nella sua mente come un flashback ossessivo. Chi mai poteva averla informata? Chi le aveva riferito di quella terribile disavventura? Una brusca frenata sull’asfalto, un botto ed un’esile figura cascata pesantemente sul selciato. Il sangue gli si era raggelato nelle vene. Istintivamente aveva chiuso gli occhi per non vedere: un istante lungo un’eternità. Sapeva che quando li avrebbe riaperti, uno spettacolo raccapricciante lo avrebbe inchiodato alle sue responsabilità. In mezzo ad un accorrere di gente, con la vista ancora annebbiata, aveva scorto la bimba. Era desto o stava sognando? Si era mossa, si era guardata attorno, poi si era faticosamente rialzata. Sembrava che una mano invisibile avesse bloccato il camion a due dita dal suo corpo. «Disgraziato, incosciente, pirata della strada, delinquente, figlio di puttana!» Una sequela di improperi lo aveva travolto come una  fitta grandinata,  durante un temporale estivo, quando era sceso dal camion. Lì vicino c’era la scuola. Col cuore che gli batteva forte forte, aveva cercato di giustificarsi. Buon per lui se era riuscito a sottrarsi al linciaggio. Avvertiva con fastidio nelle narici un odore acre di copertoni bruciati. Poi si era faticosamente  fatto largo tra la folla per risalire a bordo del suo mezzo. Inaspettatamente però un intenso profumo di mughetti lo aveva avvolto come se una presenza misteriosa fosse stata al suo fianco. L’immagine di quella bambina si era impressa a caratteri indelebili nella sua mente per tutta la giornata. Pausa pranzo, come al solito con i camionisti di turno al Ristorante Belvedere, sulla tangenziale di Torino. Ambiente fumoso, voci indistinte. Aveva mangiato controvoglia. Un caffè corretto con fernet e quattro passi all’aria fresca l’avrebbero rimesso in sesto. Niente da fare. Quel maledetto peso allo stomaco continuava ad opprimerlo. L’immagine della bimba gli si parava sempre dinanzi, come una fantasma. Aveva acceso la radio: i soliti annunci commerciali, conditi di musiche fracassone. Anche quello lo infastidiva. Poi era entrato nel magazzino della RAITER, aveva scaricato trenta bancali di vernice e finalmente aveva ripreso la via del ritorno. Ecco ora doveva scacciare la noia, cercare tra i pensieri quello che lo potesse rincuorare. Non c’era verso. Quante volte aveva temuto per la sua vita: un colpo di sonno, una possibile deriva in autostrada dopo le levatacce mattutine. E quel senso di torpore che non riusciva a scrollarsi di dosso per tutta la giornata! Si  domandava spesso che  senso avesse la sua esistenza raminga, la solitudine che lo attanagliava, la perenne lontananza dalla sua famiglia, i pochi attimi di intimità domestica, contrassegnati da una stanchezza senza rimedio. Avrebbe desiderato tanto condividere le gioie dei figli, accompagnarli fin sull’uscio della scuola come gli altri genitori, non costretti ai suoi serrati ritmi di lavoro. Era giunto così alla soglia dei cinquant’anni: età di bilanci, sospesa tra la voglia di spendere le residue energie e l’amara consapevolezza dei propri fallimenti, messi a confronto con le alate speranze nutrite in gioventù. Avvertiva fra sé ed i figli, ormai cresciuti, una specie di frattura, un muro di insanabile incomunicabilità. Neppure sua moglie era riuscita ad abbatterlo. E non si poteva dire che non gli volesse bene. Tutto sommato però Jacopo avrebbe voluto continuare quella sua vita da nomade della strada, senza aspettative per il suo domani. Già il suo domani. Che ne sarebbe stato di lui, delle sue fatiche, dei suoi desideri non realizzati? Sarebbe precipitato nel baratro di un nulla che lo avrebbe inghiottito per sempre o avrebbe trovato finalmente pace in una terra promessa? Immerso in questi cupi pensieri, aveva anche quella sera imboccato la strada della Valganna. Non vedeva l’ora di poter tornare a casa, ingoiare voracemente la solita minestra calda e bersi un buon bicchier di vino, abituale viatico per un sonno pesante e senza sogni. Poi, all’improvviso, era apparsa lei, Giusi. Non aveva potuto mentire a quella donna così diversa dalle altre, ma, nel contempo, così seducente. Le sue parole erano scontate, quasi un’eco di quello che Jacopo avrebbe voluto sentirsi dire. Era la prima volta che qualcuno penetrava nel profondo della sua anima. Giusi sembrava, infatti, anticipare le risposte ai suoi interrogativi. Un sorriso radioso il suo, una voce suadente e carezzevole come se appartenesse ad un’altra dimensione.  Per lei Jacopo era come un libro aperto. Ne sfogliava una dopo l’altra le pagine e nella sua storia personale vi leggeva una trama fino a quel momento a lui sconosciuta.  Ma sì, bando ai pregiudizi che lo avevano tenuto legato, nonostante tutto, alla sua famiglia: quella donna lo intrigava. No, non era una questione di sesso: lo avrebbe trovato facilmente ai margini delle strade, in quel suo perenne girovagare! Jacopo fantasticava solo un possibile legame di amicizia. Un’avventura sentimentale tutto sommato avrebbe dato uno scossone alla sua vita sempre uguale. Ora era tornato insistente il profumo di mughetto. Non era riuscito a scrollarselo di dosso, pensava. Giunti a Mesenzana, Giusi lo salutò con una stretta di mano e lo ringraziò per la sua disponibilità. Gli lasciò comunque l’indirizzo di casa dove avrebbe potuto riprendersi l’impermeabile.

La domenica successiva, a metà mattinata, Jacopo, impaziente di rivederla, si recò all’indirizzo indicatogli. Salì lungo una viuzza, nel cuore del vecchio borgo e trovò finalmente il numero civico annotato sul foglietto. Bussò e attese. La porta si aprì. Jacopo si trovò di fronte un’anziana donna: sul suo volto i segni di un malcelato dolore. «Abita qui Giusi Parietti?» chiese ansioso. «Abitava qui, – rispose tristemente la vecchia – purtroppo, da due anni, riposa al cimitero, strappataci da un male incurabile» «Non è possibile – interloquì Jacopo, più attonito che meravigliato – le ho dato io un passaggio due giorni fa sul mio camion, venendo da Varese e le ho prestato il mio impermeabile!». La donna lo guardò stralunata: uno scherzo di cattivo gusto, quell’uomo voleva certamente prendersi gioco di lei! Jacopo allora le narrò la vicenda per filo e per segno, raccontandole i particolari del fortuito incontro. Non poteva essersi sbagliato: Giusi aveva descritto in modo così preciso e circostanziato la casa e le informazioni sul suo lavoro e sulla sua famiglia costituivano un riscontro inoppugnabile. Si trattava forse della solita meschina truffa organizzata, di una commedia in piena regola di cui la vecchia si era resa complice e interprete? La donna, a sua volta, comprese il suo disappunto. Indossò uno scialle, prese un bastone: «Venga con me» disse e si diresse verso il cimitero. Ansava e barcollava sulle gambe malferme. Si fermò un istante appoggiandosi al muro. Lo guardò ancora una volta, perplessa e smarrita. Se ne sarebbe reso conto di persona che lei non aveva mentito. A passi lenti e cadenzati, raggiunsero il piccolo camposanto dietro la chiesa. Si avvicinarono alla tomba. Una lapide bianca, una croce, un vaso di mughetti profumati e la foto sorridente di Giusi. Steso sulla lastra marmorea, c’era però il suo impermeabile. I due rimasero per un breve istante senza parlare, gli occhi della madre si riempirono di lacrime e Jacopo, in preda ad un’emozione folgorante, si chiuse in un mutismo impenetrabile. Non ebbe neppure il coraggio di avvicinarsi alla donna, si girò di scatto e se ne andò. Gli sembrava di volare: aveva ritrovato, insieme a Giusi, la fiducia in se stesso e la speranza.

Emilio Rossi

 

Emilio Rossi, insegnante in pensione, si occupa da anni di ricerche storiche e della valorizzazione della tradizione orale, specie delle valli del Luinese. Ha pubblicato «Un uomo e la sua genteStoria di miseria e d’emigrazione dalla Val Veddasca alla Valle del Lys» (Edizioni Salcom); «Diario di un alpino luinese dal fronte balcanico» (Macchione Editore); «COLMEGNA- ripercorrendo gli antichi approdi», (Macchione Editore); «I Martiri della Gera» (Edizioni ANPI); ed è stato coautore del libro «Voci dalla seconda guerra mondiale» (Edizioni ANPI).

 

Emilio Rossi, Via delle Motte, 30/18 – 21016 Luino

 

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