L’ombra di Freddy Krueger – Racconto di Elena Maneo
La cameretta era così buia, tetra, fredda, mai stata così nera.
Aveva acceso la lampada sul comodino e la luce si spalmava sulla scrivania creando un’ombra orribile. L’ombra, un uomo ombra che da un po’ di tempo tormentava le sue notti e i suoi sogni, quando riusciva ad addormentarsi e a prendere sonno.
Quell’ombra aveva un nome: Freddy Krueger. Proprio il mortifero personaggio immaginario della celebre sagra film horror Nightmare.
Cominciò a tremare, e pensò che non avrebbe mai dovuto vedere quel film dell’orrore. Le scene più repellenti tormentavano la sua mente.
Aveva paura di lasciarsi andare, e si aggrappava a un tiepido anello di coraggio. Se ne stava gran parte della notte a contare le stelle, le civette appollaiate sugli alberi, a osservare l’argento della luna brillare come brina, facendosi accarezzare dal brivido notturno.
Aveva paura.
Notte e giorno Freddy lo studiava, lo pedinava, lo scrutava con quei occhi mesti sul volto. A volte lo vedeva passeggiare davanti a casa sua come un ubriaco, illuminato dal chiarore del lampione.
Un giorno decise di parlarne a sua madre, la quale consigliò di consultare il medico.
Quel giorno arrivò presto e dopo la scuola si diresse dal medico di famiglia, il quale lo spedì dritto da uno psicologo.
Andò dal medico senza appuntamento e lo convinse a una seduta.
“Marco, figliolo, è solo un film. Sono tutti effetti speciali e trucchi. Tu devi pensare che non esiste: è solo una finzione. Ti è chiaro?” gli disse lo psicologo sorridendo.
“Ma lui mi segue! Vedo la sua ombra in ogni angolo. Indossa altri vestiti, non ha gli artigli e non porta il cappello, ma la faccia è la sua!”
“Lavori di immaginazione. Senti, ti prescrivo delle pillole per dormire…”
“No!” gridò il ragazzo, alzandosi dritto e mostrando tutti i suoi sedici anni.
Uscì di corsa dallo studio del psicologo e si avviò verso la biblioteca. Forse avrebbe trovato un libro in grado di aiutarlo. La cultura spesso e volentieri lo aveva portato nella strada giusta, quel cammino incorniciato di sicurezza. Una ricerca faticosa che avrebbe risposto a tutte le sue domande e risolto il problema.
Stava giusto entrando nell’edificio quando lo vide. Il volto sfigurato da enormi cicatrici, basso e magro. Indossava vestiti scuri e leggeri.
Freddy era scivolato a terra, aggredito da alcuni ragazzini. Lo prendevano a calci, tirandolo per un braccio. Lo offendevano con parole pesanti, e qualche sputo volò per aria.
Gli occhi di Freddy presero a lacrimare. “Lasciatemi in pace! Non vi ho fatto niente”, gemette con voce infantile e triste.
“Fai schifo!” gridò uno dei ragazzi.
“Colpa di un incidente!”
Marco si sentì invaso dalla rabbia, poi andò a soccorrerlo.
“Che vuoi tu?” domandò un ragazzo piuttosto alto e snello.
“Lasciatelo in pace!”
“Sei amico di questo mostro?”
Marco guardò Freddy. Si rese conto che lo psicologo aveva ragione. Aveva lavorato troppo di immaginazione. La vittima l’aveva intravista più di qualche volta sull’autobus, a scuola, in biblioteca, al supermercato, in farmacia, al parco pubblico, e nel giardino di fronte alla finestra della sua stanza da letto.
“Allora? Sei suo amico?”
“ Sì! Sono suo amico. E ora andate via!”
“Altrimenti?”
“Vi denuncio!”
I bulli, quattro in tutto, se ne andarono senza replicare e con aria indifferente.
Marco aiutò il ragazzo ad alzarsi da terra. Il volto faceva davvero impressione.
“Grazie per l’aiuto. Io mi chiamo Andrew.”
“Perché mi segui?”
Andrew abbassò il capo, pieno di vergogna. “Perdonami. Volevo solo attirare la tua attenzione. Non volevo spaventarti. E so che sono un mostro.”
Marco capì. “Sono io che ti chiedo scusa, per non averti compreso. E… lavoro troppo di fantasia!” Sorrise. “Vieni, ti accompagno a casa, amico mio.”
E i due ragazzi si avviarono lunga la strada, sotto il sole che applaudiva davanti alla nascita di un nuova e sincera amicizia.