Islanda – Racconto di Marco Canola

Con sguardo offuscato dalla miopia, scoprì le Dieci e Mezza. Quella sera preferì starsene a casa. Troppo forte da interrompere la sensazione di malessere, che non sentiva nell’anima, ma come nelle ultime settimane sembra avvolgerlo esternamente.

Non riusciva a togliersela da dosso, lo stordiva, sentiva il pensiero zoppicare, il lento andare di uno storpio che a quasi fine viaggio scopre di aver sbagliato destinazione; per poi riprendere tra fatiche e bisbigliate imprecazioni, il cammino. Come un abbraccio, ne sentiva le braccia aggrappate al suo collo, il volto sfiorargli la guancia, e il suo seno appoggiato al petto.

All’improvviso si trovò piacevolmente colpito da quel suo tormento senza inizio, consapevole della realtà, che il natale di quella irrequietezza era la infinita battaglia vissuta nel suo cuore.

Rigirandosi sotto le lenzuola pensò, forse, che l’abbandonarsi a quella donna invisibile sarebbe stato estremamente dolce.

 

Le palpebre si abbassarono.

 

Si ritrovò nel bel mezzo di un campo di frumento, trebbiato qualche settimana prima.

Testimonianza data dagli steli già spezzati e coperti da una terra friabile, sabbiosa, dove i suoi piedi nudi si muovevano liberi; ogni suo passo non era controllato e senza sforzo avanzava su una collinetta poco più avanti, dove l’erba verde risaltava il confine del lavoro del contadino in quella stagione indefinita.

Era un ambiente luminoso. Ma coperto.

Le nubi basse filtravano la gialla luce del Sole e tutt’attorno l’ aria graduava in una colorazione grigiastra, come foschia.

 

Superato sulla destra un vecchio ripostiglio di lamiera sorretto alla base da grossi sassi rotondi levigati come quarzo, udì un’ Harmonium, tonalità basse, e l’aria vibrò con i suoi primi poderosi accordi che gli suggerivano tristezza.

Poco dopo degli archetti iniziarono a creare delle fondamenta, suonarono felici di essere sottomessi alla vibrazione già presente.

Al suo avvicinarsi le note parevano ovattarsi, sempre più. Lo sterno premeva e sentiva il contatto e la pressione di tutte le arterie, lo scorrere biologico della vita. La mente sgombra da scelte gli permisero di gustarsi la melodia, poco mancava a scoprire chi fossero i maghi di questa arte.

 

Una voce bianca iniziò a cantare, una nenia, e più questa prese forza più il suo andare diventò turbolento, un forte vento si alzò contrario e come raggiunse l’apice di quella piccola collina priva di boscaglia si trovò di fronte ad un vastissimo panorama artico.

Allo scendere del pendio l’erba bassa diradava in mezzo a ciottoli, simili per forma  a quelli visti come fondamenta di quel rudere, ma più piccoli; e la sua vista poteva spaziare ampia infinita di fronte a un cielo grigio piombo fino a dove delle vette imbiancate scivolavano nell’ altopiano con una lingua di ghiaccio.

 

Nulla. Nessuna presenza di uomo, oltre. La musica non tacitava.

Lo sconforto lo prese e velocemente senza confini lo invase l’angoscia.

Lo sguardo restò fisso al soffitto.

Buio completo. Notte.

La nostalgia di quel luogo silenziosamente si presentò e si mise sommessamente a piangere.

 

Marco Canola

Sono Marco Canola da Pojana Maggiore (VI) ho 23 anni e dispongo in ordine i miei pensieri mettendo in fila le parole: così nascono i miei racconti, per semplice esigenza.