Domani – Racconto di Antonella Jacoli
Io e la soffitta abbiamo fatto un patto. La fine del quadro. Di giorno aspetto che il tramonto si decida alla tregua promessa, non m’importa d’altro che dell’arrivo delle ombre, quasi portassero sotto il braccio una scala come quella che mi fa salire a vivere la solitudine santa delle ore sottratte alla luce naturale. E’ un segreto, è la mia vita profonda. Intanto ho finito di leggere il romanzo “L’opera” di Zola, che racconta di un pittore ossessionato dal suo dipinto a tal punto che prima lo distrugge e poi si toglie la vita. L’ho concluso una mattina. Di mattina ho perso anche mia madre. Non ho più neanche mio padre, così ho bisogno di ritrarre uomini solitari, chiusi nei cappotti. Fa sempre freddo quando i tuoi non ti rispondono. Il numero esiste ancora ma a mio fratello non posso dire che sto dipingendo un tizio che non conosco, un minatore in libera uscita con le mani in tasca e l’aria di un sopravvissuto. Non capirebbe il perché. Il mondo scorre su altre pretese, su altre premure. Il giorno non mi piace. Sarà che ho anche letto di quei due drammatici personaggi, Tristano e Isotta, che si amavano di notte e rifuggivano i fari come la peste, la musica li avvinghiava a me senza scampo, sono un tipo romantico. Così adesso, con qualche nuovo pennello e stracci per pulire le setole, salgo la scala interna e sbuco dal foro nella soffitta doppia, dalle finestre buie. Lo spazio si allunga, si torce, mi segue frusciando, i gesti hanno un peso complesso, cosciente del vuoto e di ogni più piccolo ossicino del polso e della mano, il cuore balza dall’occhio alla tavolozza sentendosi incendiare in incognito. Domino tutto ciò che avverto, trionfo sfolgorante di beatitudine operosa. Il freddo arretra. Non ho il minimo pentimento, dormirò quando James, l’ultimo minatore, avrà lo sguardo della mia innocenza scomodata. Nasci e ti ritrovi grande senza nemmeno il tempo di chiedere il libretto delle istruzioni, per forza ti stringi nei vestiti e passeggi da solo chissà dove mordendo il freno. I colori fangosi lavorano insieme, si fondono e si ribellano, confluiscono al pensiero imponendo, pregando, lasciando la stanza e tornando pentiti. Non sbatto le ciglia, tanta è la concentrazione. Il berretto floscio e la barba sono venuti bene, perché penso sempre allo sfondo? Odio gli sfondi. A un tratto la pioggia affiora dall’invisibile cielo senza stelle e affonda i tacchi nei vetri a ghigliottina. Il tempo chiede tempo. Chi ho perduto ricompare, zampilla, compie il rito di passaggio da un prima a un dopo che è di uguale vita e d’ineguale sostanza. Lo so, lo so, non posso stancarmi, siete carini a preoccuparvi ancora. Lentamente la pioggia scompare. Non aggiungo altro tocco al viso scavato, alla sciarpa e al vestito. Abbiamo lo stesso modo di guardare, io e Jimmy. Senza pioggia cade il senso di qualunque riflesso. L’orologio al piano di sotto starà ticchettando impaziente. Ogni regno acceso alle finestre insorte finirà, arriveranno le prime velature esterne, i tetti vibreranno, gli uccellini canteranno una canzoncina batticuore. Eccoli, se annunciano l’alba è solo per restituirmi al mondo. Per la prima volta da molte ore penso al letto. Sorrido dei progressi. Non è che un arrivederci a domani. Quando potrò sostenere un altro muto colloquio in soffitta. Domani, ripeto scendendo i gradini, mostrerò il quadro all’unica persona che vive con me. Qualche domanda, qualche risposta. Il giorno uccide la poesia, mi rende debole, un angolo acuto costretto a stendere i muscoli sul divano. Domani finirò il quadro. Il braccio scosterà per l’ultima volta la carezza caricata di tinta e la notte sarà l’uomo che cammina in me.
Antonella Jacoli
Mi chiamo Antonella Iacoli, in arte Jacoli dal cognome di mio padre, sono nata e vivo a Modena, laureata in legge, ho pubblicato tre raccolte di poesie, scrivo racconti spesso di fantascienza e brevi testi teatrali, dipingo in stile americano e amo tutta l’arte.