Chiudo gli occhi e sento ancora quei rumori.
Il vento che freme sugli alberi, il corso del fiume che accelera, il lontano passaggio di qualche macchina. E poi ci sono i rumori interni di quella casa. L’acqua nei tubi, la porta che scricchiola, le persone che vanno su e giù dalle scale.
Rieccomi nella mia casa di infanzia. Sono al buio, con le mani seguo il contorno dell’armadio, apro la porta e mi trovo in sala.
I mobili sono ancora quelli comprati negli anni ’70, la parete in palissandro nero con luci, specchi, vetrinette, la radio incorporata, lo spazio per la tv con lo stereo e le casse per terra.
Risistemo i 45 giri impilati e li blocco da un libro. Sposto una sedia, da non credere, mia madre non ha mai tolto il cellophan dai cuscini.
C’è il solito disordine, libri, donnine e animali in ceramica e il tavolo pieno di carte e matite. Prendo in mano una cartolina di Rimini, con il timbro di tre giorni fa. E’ mio padre che scrive, si diverte al mare con mia madre, ballano ogni sera e torneranno la prossima settimana.
Sul pavimento luccica qualcosa. E’ un plettro bianco. Lui perdeva sempre plettri in giro quando andava a suonare con gli amici. Nelle piazze, sulle spiagge d’estate, nelle feste dei casolari. Quel plettro bianco era l’unico che ritrovava sempre, nelle tasche dei jeans o per terra come adesso. Lo raccolgo e lo metto in borsa.
Mi accorgo solo adesso che c’è più luce del solito. Una luce mai vista. Qualcuno ha aperto anche la finestra che era sempre bloccata.
Nella tasca trovo il cellulare pieno di messaggini. Sono i miei vecchi amici della spiaggia.
Apro il primo e compare l’immagine di un fiore esotico rosso. Il mio colore preferito da sempre. Mi scappa un sorriso e penso che forse è arrivato il momento di aprire quel cassetto e cercare quel rossetto di un rosso così audace che non avevo mai osato mettere. Il rossetto mi sfiora le labbra come una carezza e so già che quando uscirò di casa tutti gli sguardi saranno su di me. Mi sentirò diversa, come quel fiore rosso ancorato alle rocce, mentre altre pietre precipiteranno davanti a me e io le osserverò cadere dall’alto.
La luce è forte, mi gira la testa, le pietre rotolano, fanno rumore, il fiore sta per cadere…la luce è troppo forte, la mia testa rotola…apro gli occhi.
Sono i rumori della città che mi svegliano, è l’inizio di un nuovo giorno.
Ora vivo di corsa, nei meandri delle metropolitane, a volte le persone non riescono a salire sul mio treno perché le porte si chiudono in faccia.
Solo oggi mi rendo conto che quello che sta per iniziare è un giorno speciale. Il giorno che avevo sempre desiderato perché qualunque cosa avrò perso nella vita la ritroverò sotto altre forme.
Nulla è andato perduto. Le cose a me care rivivono sempre dentro il mio pensiero e non ho più bisogno di liberarmene. Sono entrate nella mia vita e fortunatamente non ne sono più uscite.
Mentre adesso so per certo che posso liberarmi solo di ciò che è entrato troppo facilmente, perchè all’inizio mi incuriosiva, poi come sempre mi ha deluso e ora voglio solo che esca per sempre dalla mia vita.
Invece ora posso recuperare il tempo perduto.
Accendo il telefono. Non ci sono messaggi.
Cerco nella rubrica quel numero.
Scrivo “Ciao Laura, come stai? mi piacerebbe risentirti”.
Uno stupido ragazzo ci aveva fatto litigare e la nostra amicizia si era persa negli anni.
“Ciao! Che bella sorpresa. Non vedo l’ora di rivederti!” dopo neanche un minuto.
Ora ho capito che le cose più belle della mia vita sono arrivate per caso. Erano sempre lì a portata di mano, come nella solita carrozza del treno. Oggi non passerò i miei giorni come un fantasma ma aspetterò lui che corre e perde sempre il mio treno. Mi siederò di fronte a lui e lo guarderò ininterrottamente. Ricambierà il mio sguardo e finalmente ci conosceremo.
Al momento di scendere mi darà un bigliettino con il suo numero di telefono, lo terrò un po’ in mano poi lo metterò nella taschina della borsa dove conservo il mio portafortuna.
Ora so che mi basterà una nuova parola, un nuovo sorriso e un plettro bianco nella mia vita.
Tiziana Marcovich