L’orologio segna le due. Strofina gli occhi, si avvicina, strascicando le pantofole sul pavimento di graniglia, fino all’anta della cucina. L’apre e ne sceglie un vasetto di ceramica, non più alto di quindici centimetri, un cilindro che si allarga in corrispondenza della zona mediana e sopra il quale un disco di ceramica, con una guarnizione di gomma, funge da coperchio. E’ interamente bianco, ad eccezione di una linea azzurra sulla parte inferiore, della scritta “Zucchero”, dello stesso colore, e delle macchie di grasso e sporco. Dentro non c’è zucchero ma fiori secchi di camomilla. Posa il vasetto sul tavolo e si sposta vicino al lavabo. Fuori il vento ha preso a fischiare attraverso le fessure della persiana. Il bus notturno s’immette nella curva proprio sotto il palazzo. Si sente come uno sbuffo d’aria, poi il fischio tenue dei freni, la ripresa del motore. Il rumore secco di una portiera che si chiude; due ragazze ridono, sguaiate. La tazza scelta è quella di un blu/viola scuro, piccola, ricordo di un viaggio in Francia. Va a finire a fianco del vasetto. Poi, il bollitore è riempito d’acqua e messo sul fuoco. Che giorno è oggi? Si chiede, quasi distrattamente.
Mentre aspetta che l’acqua raggiunga la temperatura, apre la finestra. L’aria fredda irrompe nella cucina. Ha un brivido e stringe meccanicamente le spalle. Fuori non c’è nessuno, nemmeno un cane. Poi passa un tizio con un motorino. In lontananza una donna imbacuccata entra nell’androne di un palazzo. E’ solo un’ombra come tante. A metà del palazzo, al terzo piano, proprio di fronte ala sua finestra si accende una luce. Chissà, forse è la donna. Lui si volta, si avvicina al fuoco, controlla l’acqua: ancora qualche minuto. Quella della parafarmacia gli ha detto che è importante che l’acqua bolla. Così, dalla pianta, si traggono i principi vitali. Sarà, ma lui ricordava diversamente. Ritorna alla finestra: la donna (ma si è lei, dai) è sempre li, con la luce accesa. Forse anche lei non riesce a dormire. Lui cerca di ricordare se per caso non ha lasciato la macchina aperta. Giù, in strada, un tizio porta un cane a spasso. A quest’ora? Si chiede lui. Il cane è una grossa bestia bianca, possente, le labbra rosa e carnose, gli occhi piccoli e neri. Domani bisognerà ricordarsi di passare al supermercato, appena uscito dal lavoro. Chissà come dev’essere aver un cane. L’uomo, che lo porta al guinzaglio, è magro, il naso aquilino, la schiena curva che disegna un profilo singolare, illuminato di sbieco dalla luce elettrica del lampione. La donna ha spento la luce.
Sono le due e mezzo, circa. L’acqua ora è pronta. Spegne il gas sotto il bollitore, mette due cucchiai di camomilla, poi esita e ne aggiunge un terzo. La luce bianca della lampada a led ha reso tutto esasperatamente definito. Rimette al suo posto il vasetto bianco. Cinque minuti in infusione. Cinque minuti: un’eternità. Fuori la donna è di nuovo uscita. Ma sarà lei? A lui piace pensare di sì. Chissà qual è la sua storia. Tutti ce l’hanno una storia. Ce l’hanno avvinghiata addosso come un’edera al muro freddo di una casa. Una storia ti afferra e non ti lascia mai, nemmeno la notte. Anzi è proprio di notte che la tua storia ti si stringe ancora di più addosso e non ti fa dormire. Chissà che storia ha da raccontare quella donna alla notte. Forse deve incontrare l’uomo con il cane. Forse sono due amanti, o forse due criminali. Adesso la donna muove verso il suo palazzo. Probabilmente si è accorta di lui. Che cos’è lui per lei? Chissà cosa le direbbe lui, se lei salisse le scale e suonasse alla sua porta.
Beve il primo sorso di camomilla. Accosta le labbra con circospezione al bordo della tazza. Il labbro inferiore, saggia, indugia, poi s’incolla alla ceramica. Il labbro superiore, invece, rimane sollevato un poco, formando una fessura. Il polso ruota lentamente, il liquido caldo, brucia la carne molle delle labbra, scotta la lingua e la bocca. Allontana da se la tazza. Torna alla finestra: passano due auto. Una deve avere un problema alla marmitta: da dietro quando accelera, si alza un fumo bluastro. La donna sta ferma al centro del marciapiede. Guarda nella sua direzione. Lui ha come un tuffo al cuore, quasi la tazza gli cade dalle mani. La donna muove un passo verso di lui. Alza lo sguardo verso l’unica finestra illuminata. Lui, con gesti secchi e bruschi, sgancia l’asta di ferro verde e chiude la persiana. Ma rimane lì, a guardare in giù. Lei è ferma, immobile, come una bambina. Lui quasi si aspetta che inizi a barcollare sulle gambe. Poi, lentamente, la donna si volta e riprende a camminare da dove è venuta. Ha la testa bassa, le spalle incassate, cammina e sembra calpestare la terra sotto i suoi piedi.
Ora la camomilla si può bere. Sono le tre meno un quarto. La tazza finisce nell’acquaio, il cucchiaino dentro la tazza. L’odore della camomilla si è mescolato a quello di muffa e di umido che proviene da fuori. Per strada non c’è più nessuno. Lui spegne la luce e torna a dormire.
Daniele Cerruti
Mi chiamo Daniele, sono laureato in filosofia e ho collaborato alla redazione di alcuni siti web. Ho pubblicato alcuni racconti sia in riviste che su siti online