Domani, libera – Racconto di Cristina Giuntini

 

Mi muovo lentamente, con circospezione, attenta a non fare rumore e a non causare disturbo. Lui dorme, e svegliarlo non mi conviene. Adesso meno che mai.

Seduta sul letto, nel buio più completo, sento tirare ogni più piccolo muscolo del mio corpo. Accanto a me, lui russa. Russa come un maiale, come al solito, ma non è per questo fastidioso rumore che non chiuderò occhio, stanotte.

Ferma. Devo stare ferma, non devo agitarmi troppo. Guai se lui si sveglia: sembra che abbia il sonno profondo, ma il minimo fruscio potrebbe interrompere il suo prezioso riposo, e allora sarebbero guai. Non è la prima volta che succede.

Che ore sono? Le due. Ancora cinque ore: alle sette mi alzerò come al solito, e andrò a preparargli la colazione. Farò attenzione a non zuccherargli troppo il caffè, o a non sbagliare marmellata. Alle sette e mezza lui si siederà al tavolo, e mangerà in silenzio, se sarò fortunata. Alle otto sarà già uscito di casa, diretto al lavoro.

Allora, con calma, prenderò la scala e tirerò giù la valigia dall’armadio. E’ sempre stata lì, lui non sospetta minimamente che io abbia passato giorni e giorni a riempirla. Mi vestirò, prenderò per mano Luca e uscirò per sempre dalla porta di casa e dalla sua vita. Almeno lo spero.

Quando è stata la prima volta? Eravamo ancora fidanzati. Era venuto a prendermi all’università, e mi vide parlare con quel mio compagno, non so nemmeno più come si chiamasse: mi stava semplicemente chiedendo una spiegazione. A un tratto mi sentii strattonare per il braccio, e una mano si abbatté sul mio viso: non so se fu più pesante il dolore o l’umiliazione. Il mio compagno si eclissò in fretta, altri passarono accanto

senza guardare. La sera, mia madre completò l’opera: “Se l’ha fatto” mi disse, “vuol dire che ne ha avuto ragione. Così impari a fare la sgualdrinella con i poco di buono!”

Da quel momento, tutto gli fu permesso. Gli era stata messa in mano la ragione, e badava a tenerla ben stretta. Un sorriso di troppo, una frase eccessivamente gentile, un contatto casuale, e partiva il ceffone. Ne ebbi uno anche il giorno del matrimonio, per il vestito, a suo dire, scandalosamente scollato.

Ho sperato per una vita che, con il tempo, il suo atteggiamento migliorasse, che il matrimonio e la paternità gli facessero mettere giudizio: quello che ho ottenuto in cambio della mia fiducia sono stati solo lividi, e il disprezzo della mia famiglia: “Pover’uomo! Lavora come un cane per mantenervi. Sei tu che lo fai uscire di testa, piena di fisime e di pretese come sei!”

Poi, la scorsa settimana, all’improvviso, l’ennesimo caso di femminicidio al telegiornale. Lui ha vomitato il suo solito commento sulle donne che se la cercano. Io, invece, sono rimasta in silenzio, incapace di reagire, annientata da un’improvvisa, terribile consapevolezza.

Quella donna aveva i miei occhi.

I suoi erano stati spenti per sempre. Quando sarebbe successo ai miei? Perché solo di tempo si trattava…

Piano. Devo fare piano, non devo muovere neppure un muscolo. Adesso mancano quattro ore. Quattro ore, poi un’altra, la più difficile. Cinque ore di silenzio e occhi bassi.

Non importa. Ho aspettato tanto per non ottenere niente: cosa possono significare cinque ore in più?

Solo cinque ore. Le più dure, prima della vita.  

    

Cristina Giuntini

Diplomata come Perito Turistico, parla Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo e Russo. Lavora da uno spedizioniere e appena libera dal lavoro è scrittrice, giornalista, cantante e attrice dilettante. Presiede l’Associazione Culturale OGAE Italy per l’Eurovision Song Contest ed è redattrice nel sito. Collabora inoltre con i siti Le Nius, sezione viaggi, e Sololibri, per il quale è recensore di libri. Con i suoi racconti ha partecipato a vari concorsi letterari ottenendo vari primi posti e diversi piazzamenti e pubblicazioni in antologie. E’ autrice di “Narratè Firenze”. Food Souvenir Culturale a cura di Narraplanet.