La notte è arrivata dolce, con le sue legioni di colori lenti che si sono spenti adagio, fuori, tra le strade, i muri, i palazzi tagliati dalle luci accese sulla città, è arrivata dopo una giornata di vetrocemento, ufficio, gente, parole che mi sono rotolate intorno, sopra lo schermo di un PC dove mi sono sorpreso a cercare i tuoi occhi, dopo la raffica di lavoro che mi ha asciugato adagio le ore di questa giornata, dopo i discorsi dei colleghi impegnati in discussioni su importanti questioni di vita o di morte: la ripartizione del Premio di Produzione, il tempo nel prossimo weekend, le partite di calcio di Domenica scorsa, le partite di calcio della Domenica che verrà, e se la rossa Samantha, attualmente la più quotata del Terzo Piano, c’è stata o non c’è stata con l’Ingegnere, e poi le telefonate che mi sono scivolate sopra, addosso, via, lontane, e le pareti irte di calendari idioti di questo ufficio che mi raccontavano che tu non c’eri, e poi, sì, anche la batteria del mio cellulare che si stava scaricando.
E anch’io stanotte sono scarico, dentro la mia stanza, sotto questa luce grigia che entra dalla finestra che non ho chiuso. Disteso sopra questo letto troppo vuoto, dove non trovo nessuno. Neppure me stesso.
Non era così quando c’eri tu.
Per qualche attimo mi sembra di sentire il tuo profumo.
Di sole, miele, orizzonte, verde. Un filo d’erba tra le mie dita che accarezzo senza strappare da quelle che sono anche le mie radici.
Ad un tratto c’è un vento di ricordi che si intreccia ai rami di alberi lontani, perduti nel mio passato. Quando ero piccolo. Con mia nonna nel bosco dei castagni, tra odore di funghi e muschio soffice. Un mondo lento che ritorna dalla finestra aperta sulla lunga notte sconfinata, piena solo di vuoto, tenebre e silenzio. Nel buio gelido, sto in ascolto del rumore dei tuoi gesti persi in questa casa grande, troppo grande, dove ora so che la felicità più semplice aveva il tuo sapore dolce. E rivedo i tuoi occhi. Sento il tepore del tuo abbraccio perduto oltre i colori sempre più lontani dei giorni passati assieme. Ti rivedo mentre condisci gli spaghetti. Parli al cellulare. Mi guardi oltre l’orlo fiorito del guanciale. Il tempo che abbiamo passato insieme non mi è bastato, non potrà bastarmi mai.
All’improvviso, mi viene in mente che da qualche parte ho il rimedio al buio fradicio della tua assenza.
Ma un attimo dopo, so già che non lo userò.
Respiro e vedo i tuoi occhi. So che adesso sono libero di fare quello che voglio, ma non so più cosa fare, senza di te. La notte rotola su se stessa. Impreciso, stanco, spezzato e sporco di nero e di parole senza senso, arriva il sonno. Mi sporgo dentro sogni gonfi di luci passate. Ci cammino dentro con passi indecisi, sprofondo, resto in bilico. Fino al primo, lento morso freddo del risveglio, fino al cigolare del tempo nella mia mente, al rumore della notte nella chiave dentro la serratura, fino ad una debole luce che si allarga dentro di me, fino alla porta aperta, fino ai passi nel corridoio, fino all’alba che entra in questa stanza,
insieme a te.
Benedetto Mortola
Ha svolto diverse attività: operaio forestale, trasportatore, cameriere, barista, giardiniere, guardiaparco, impiegato. Parallelamente si è occupato di grafica, video, scrittura creativa.