La notte è un gregge – Racconto di Donata Ghielmetti

Avevo capito di avere sbagliato bar dai salatini che non si lasciavano mangiare. Ma ero depresso e mi serviva subito uno sgabello a cui abbarbicarmi con la mia disperazione. Mi sentivo in un quadro di Hopper, unico testimone di un’altra storia finita male. Persino il barista non aveva alzato lo sguardo dal registratore di cassa, intenzionato a non fare straordinari. Mi sarei accontentato di chiunque ed ero stato esaudito. Vicino a me si era seduta la faccia più sola che avessi mai sfiorato. Le offrii una birra e mi ritrovai a parlare di Barbara. “ Capisci che mi ha preso in giro? Eppure giurava di amarmi. Come faccio a stare con una donna che mi ha mentito? Mi aveva detto di essere sposata e oggi sono venuto a sapere che è libera. Questo cambia tutto. Tu cosa faresti al mio posto?” Era seguita una pausa troppo lunga, quasi una sospensione di giudizio. “ E’ inutile che perda tempo con lui. Non può rispondere: è sordomuto”.  Era calato un rumore di saracinesca abbassata. Non c’erano più scuse per rimandare l’appuntamento con l’insonnia. Invidiavo chi sarebbe stato sicuro di dormire. Mi attendeva la certezza di lenzuola intatte, spinose come il letto di un fachiro. Non era sempre stato così. C’erano state notti senza pecore, con occhi chiusi fino al mattino.  In quegli anni avevo solo una donna e non avevo bisogno di sonniferi e camomille. Quando erano arrivati gli sbadigli l’avevo lasciata. Non l’aveva presa bene e mi aveva augurato di stare male. Io non soffrivo, ma avevo smesso di dormire. Per non pensare alle notti maledette, avevo cominciato a frequentare i bar della zona. Ormai li conoscevo tutti con le loro storie alcoliche e squallide. Non ritornavo mai nello stesso locale. E’ più facile rendersi ridicoli con chi non è mai inciampato nella tua vita. Avevo preso l’abitudine di complicarmi i problemi con donne impegnate, visto che avevo perso la speranza di ritrovare un po’ di sonno. Mi avevano fatto perdere anche quel poco che mi era rimasto ma almeno non dovevo sforzarmi di inventare scuse per andarmene. Era il momento più bello della storia: un’uscita di scena da attore consumato. Peccato doversi accontentare di un ruolo da  gregario. L’insonnia arrivava sempre prima di me. Mi aveva consumato tutto il corpo. Mi rimanevano solo occhiaie così profonde da inciamparci. Chissà dove era finito il sordomuto. Avevo ancora un pezzo di storia da raccontargli.

 

Donata Ghielmetti

Dopo i cinquant’anni mi sono fatta un regalo: la scrittura. Mi piace la leggerezza che non ha niente a che vedere con la superficialità. Il mio obiettivo è diventare una donna ironica.