La sedia di mio nonno – Racconto di Sani Fabrizio

Certo che c’era silenzio, il silenzio dei sabato mattina senza scuola. Ero avvolto con la testa sotto le coperte, e mi sforzavo di ritrovare quel bianco volto che mi stava lanciando la palla seduto su una sedia in giardino. La vecchia sedia di ferro battuto che giace ferita in soffitta. 

Ora che ci penso meglio, non sono in grado di capire se quando l’ho conosciuto era già vecchio, oppure erano i mie piccoli occhiali da bambino che lo vedevano lontanissimo, come se avesse abitato la terra da quando è nata.
Una volta disse che il calcio è uno sport dignitoso e mi regalò una palla e una maglietta della Fiorentina. Ora sono per la Juventus ma non ricordo perché. Lasciavo la palla in camera, e ogni tanto provavo a fare dei palleggi e rompevo qualcosa: il quadro che non mi piaceva ma zia diceva che era di Courbet, il vetro dell’anta di quell’armadietto che poi mio fratello ha rivoluto indietro e anche lo stereo che mi avevano regalato a Natale. Poggiavo la maglietta sulla sedia di camera mia e pensavo che se un giorno fossi diventato forte, con i soldi che avrei guadagnato, anche io gli avrei regalato una maglia. Quando mamma la lavava, lo faceva di nascosto e io mi arrabbiavo perché mio nonno diceva : “il sudore non deve essere lavato: rappresenta la forza”. La realtà è che facevo finta di arrabbiarmi perché lui potesse essere fiero di me, non mi importava cosa rappresentasse, a me il cattivo odore dava fastidio. 
La indossavo e correvo in salotto, e lo trovavo sulla poltrona a pulire dalle penne una gallina.

“Ho finito i compiti” 
“Metti la sedia in porta e prendi il pallone, finisco qui e arrivo”. 
La “porta” erano due alberi di nocciole, ed io mi esercitavo col pozzo a colpire la mattonella rossa mentre lo aspettavo. Credo mi facesse vincere, ma non ero in grado di capire. Inoltre credo si accorgesse che facevo finta di arrabbiarmi, o forse no. Non lo disse mai.
Quando mio padre mi rivelò che era morto io lo sapevo già, perché avevo spiato la conversazione al telefono con mio zio il giorno prima. Gi dichiarai che ero stato io a colpire forte la vecchia sedia con un calcio, e a romperla. 

Stavamo giocando a palla di nuovo, e questa volta sapevo capire che si stava facendo sconfiggere, però stavo al gioco e lo battevo per farlo felice. Stavo correndo a recuperare il pallone quando un grido mi riportò dentro il letto. 
Dall’altra stanza dicevano che i rami del fico entravano in casa e andavano tagliati ma mio padre non c’era mai, che se un uomo ha una famiglia, questa diventa la priorità e     rientrare a casa alle quattro è da irresponsabili; Poi che una madre ha un rapporto più stretto con i figli perché li partorisce e stanno nel suo corpo; che per gli uomini gli amici sono importanti come la famiglia, ma io non capivo come queste cose si collegavano tra loro. Lentamente uscì dalle coperte per sentire meglio, fino a che non si affacciò mia madre per vedere se dormivo e io riuscì a farglielo credere. Sono bravo a fingere di dormire perché ho imparato a emulare il respiro del sonno e a scandirlo regolarmente. Il trucco è la pazienza.

Lei uscì e chiuse la porta. Sentivo comunque bene perché con la porta chiusa si sentivano autorizzati ad alzare il tono della voce. Dicevano che la madre ha un rapporto più stretto coi figli perché li partorisce e stanno nel suo corpo e che prima di essere padre e marito si è uomo. Dicevano che io da grande sarò un delinquente perché succede così quando la famiglia non è un posto sicuro.
Mi addormentai.