Notte in città – Racconto di Alberto Arecchi
La città è diventata sempre più insicura. Le luci dei viali tremolano e si spengono, urli atroci echeggiano nel buio. All’alba, i marciapiedi sono ricoperti di sangue rappreso. Scruto dalla mia finestra, nelle lunghe nottate insonni. Sento un gran peso sul petto e non riesco a respirare, sono costretto ad alzarmi e – mio malgrado – rivolgo l’attenzione al mondo esterno.
Nello stridio dei freni e nei rantoli di gomme sulle rotatorie pare d’udire i gemiti d’ignote prostitute bambine, sventrate sotto gli alberi dei viali.
I primi chiarori dell’alba portano una pausa alle mie angosce. Le notizie del mattino, però, rivelano spesso una realtà peggiore d’ogni mio incubo. Ogni notte, nel quartiere, si recita la tregenda delle tenebre.
Suonano il campanello, dal portone sulla via. – Chi è? – Non risponde nessuno. Forse ho sognato. Stizzito, chiedo di nuovo: – chi è? – Nessuno. Dopo tre minuti, suonano di nuovo. Mi sporgo alla finestra, ma non riesco a vedere il portone. Continua così per cinque, dieci, quindici volte. Finalmente una voce strozzata sillaba al citofono: – a-iu-to! –
Sembra uno scherzo di cattivo gusto, ma se non lo fosse? Dopo un attimo d’esitazione, chiedo: – chi sei? – La stessa voce: – aiuto, aprimi, per pietà! –
Apro il portone col pulsante elettrico. In un impeto di celestiale stupidità, indosso le prime cose che trovo e scendo al piano terreno. Non vedo nessuno. Il portone, il muro, il pavimento sono striati di sangue. La scia prosegue verso la scala delle cantine. Un lamento sale spezzato dal vano delle caldaie. La luce, laggiù, manca da anni. Maledico l’amministratore del condominio, che non sistema mai i guasti.
Risalgo a prendere una bugia, una scatola di fiammiferi, e affronto i gradini che scendono in cantina. Nonostante tutte le cautele, però, qualcosa mi distrae. Scivolo rovinosamente. La torcia rotola via e si spegne. Rimango seduto, dolorante, in fondo alle scale, con le mani appoggiate su una fanghiglia attaccaticcia. Là in fondo, c’è del movimento. Ratti, indaffarati intorno ad un fagotto. Nel vuoto, nel silenzio, quel rantolo…: “oh, oh, ooooh….” Un orribile fetore riempie lo scantinato. Sono paralizzato dal terrore. Come una mostruosa bolla di densa sostanza catramosa, il fagotto si scrolla di dosso i ratti e rotola verso di me. Un fluido attaccaticcio dall’acre odore di sangue mi spruzza sul volto. Sono proiettato fuori della cantina e volo nella notte stellata, umida e puzzolente di raffineria…Mi sveglio nel letto, ansimante, coperto di sudore, quasi legato nel lenzuolo attorcigliato e zuppo. Occorrono alcuni minuti per sgombrare la mente dall’incubo. Devo aver gridato, scalciato, lottato contro il fantasma coperto di sangue e assalito dai ratti. Non ho ancora aperto gli occhi, quando il campanello di casa comincia a suonare. Ripetutamente, con sfrontata insistenza. Guardo l’orologio: sono le tre di notte. Corro al citofono. È la mia amica Mary: – Per favore, aiutami, fammi entrare! –
Sembra che si ripeta la scena dell’incubo… Questa volta, però, Mary prende l’ascensore, arriva alla mia porta, lasciando sul cammino una lunga scia di sangue, e cade priva di sensi. Ha un coltello piantato in un fianco.
Prima cosa da fare: cerco di trascinarla dentro, senza farle più male di quanto già non abbia subito. Secondo passo: mi accerto che sia ancora viva.
Mary è viva, non sanguina, quindi non mi rimane che adagiarla in modo che non possa farsi altro male. Lei si riscuote e mi guarda, sorpresa. Un moto istintivo di terrore, poi mi riconosce. Con voce flebile, dice: “che male…” e cerca di raccontarmi che cosa le è successo. Mentre ritornava a casa, qualcuno l’ha aggredita, le ha strappato la borsetta e, di fronte ad un suo tentativo di reazione, le ha piantato il coltello nel fianco. Per fortuna, la ferita è poco più d’un graffio superficiale. Una buona dose di grappa, versata in due bicchieri, fa il resto. Ci rimbocchiamo le maniche e giù, con l’ascensore, a pulire le tracce di sangue nell’ingresso. Fuori del portone, decidiamo che non è affar nostro.
Pulizie condominiali in piena notte, l’aspirazione segreta di chiunque si annoi nel buio d’una lunga notte insonne.
Alberto Arecchi
Alberto Arecchi è un architetto che oggi vive a Pavia, ha trascorso diversi anni lavorando in Africa, in diversi Paesi.
Si diletta nella scrittura di racconti, storie, poesie. É il presidente dell’Associazione culturale Liutprand.
sito internet: www.liutprand.it
http://www.liutprand.it/albertoArecchi.asp