Scrivere. Vivere. – Racconto di Antonella Jacoli
Tutta colpa del concorso. Dopo le ventitré, conclusa la riunione poetica, tornare a casa e cercare qualche scusa per non andare a letto a contare le pecore in salto. Bere l’acqua minerale, pregustare la lettura della rivista di settore sapendo che i versi perfetti dei poeti perfetti tradiscono più di qualunque amante. Scrivere sostiene la pena di vivere, la trasforma nella ballerina classica nell’atto di spiccare il volo. Quando va bene. Non stanotte. Le spalle tese, gli occhi disperati per la troppa luce, con addosso il panno di lana cammello della mia adolescenza con la greca sul bordo, sono in attesa dell’ospite di Marzullo in tv. Domande e risposte, niente mi piace di più di fare le ore piccole nel salotto di qualcuno che parla, che inscena un teatro di piccolo cabotaggio per rendermi partecipe di qualcosa di nuovo per me. E’ l’eredità che mi viene dall’avere guardato il Costanzo show per lunghi anni in compagnia di mio padre. Difficile spiegare questo rito a chi va a dormire e basta. Penso che fuori brilleranno luci artificiali fino a tardi. Le stelle sospese sui fiordi scandinavi, ecco che dovrei vedere. Ma per non so quale ragione mi viene in mente di dare un’occhiata al bando per un racconto di massimo due pagine sul tema “una notte senza sonno”. Curioso, sembra fatto per me. Comincio a raccontare della soffitta dove la notte dipingevo con la frenesia di un Ligabue in provincia. Comincia così: “Io e la soffitta abbiamo fatto un patto. La fine del quadro”. Già, è stato un periodo intenso. Questo concorso tra pochi giorni scadrà, come uno yogurt, come una cambiale. Non faccio più caso al busto sulla scrivania, all’agenda sulla quale ho posato gli occhiali, alla pila di quaderni e fogli accanto, alle cartelline che apro sempre con il tatto di un artificiere, alla gigantesca nera macchina da scrivere Remington che implacabile mi ricorda il da farsi. Scrivere. Vivere. Scrivere e vivere per me sono la stessa cosa. Non conosco avventura migliore. Sfioro i tasti del pc e ricompongo l’energia di una notte confondendola con le altre, notti di un insonne creativo che non si distende tanto facilmente tra le braccia di Morfeo. Non so che ore sono, anche se l’orologio in libreria batte il cuore a ritmo del mio. Entro nel silenzio dei ladri, delle madri che aspettano il rientro dei figli. Fa così freddo che mi mancano il presepe e l’albero di natale messi via dopo le feste, coprivano, accoglievano. La smobilitazione dei magi e della capanna mi sembra ancora lavoro nobile tra le mani. Invece adesso il gelo non mi fa muovere, la schiena soffre, le ciglia battono il tempo del ritiro. Impossibile. Va a letto, dice la mano destra che non scrive. Sto finendo un’altra riga, posso? Si faranno le sei, vedrai. E un’altra frase non vuole farsi dimenticare, m’implora d’inserirla, ecco sbucare i miei genitori fantasmi, certo venite, c’è posto per tutti. Il ritratto terminerà domani. Fatto, inviato il racconto. Sulla pagina sto lasciando la soffitta ma qui le tapparelle filtrano le prime luci. Tra poco il caffè, la realtà delle sette di mattina. La sveglia dell’altro, il saluto. La sua doccia che non conosce il mormorio dei miei pensieri notturni. Avrò le borse sotto gli occhi. Avrò il sonno più rapinoso di tutti i secoli. Tornerà il malinconico tramonto che amo, la notte in abito scuro mi vorrà forse ancora proteggere dal senso d’indignazione e di noia che mi suscita una società per la quale io non esisto se non in forma di numero statistico, di acquirente, di contribuente e di cavia per qualche prodotto di bellezza. Mentre io sono risorgimentale per natura. Che cosa mi ha preso stasera? Tutta colpa del concorso.
Antonella Jacoli
Antonella Iacoli, in arte Jacoli, di Modena, laureata in legge, ho pubblicato tre raccolte di poesie, scrivo racconti spesso di fantascienza e brevi testi teatrali, dipingo in stile americano.