STELLE CADENTI – Racconto di FLORINDO DI MONACO

Una notte d’agosto di dieci anni prima la luna spandeva una luce d’argento su tutta la distesa del mare. Adriana e Giulio passeggiavano abbracciati sulla spiaggia deserta in attesa di vedere una stella scivolare giù a terra, pronti a esprimere un desiderio. Quand’ecco un bolide tagliò il cielo dall’alto in basso, e scomparve come saetta sull’orizzonte. In quell’attimo lei gli sussurrò: “Ti amerò per sempre. E tu?”. E Giulio le fece eco: ”Ti giuro, per sempre”. Lì passarono tutta la notte allacciati in un abbraccio così stretto che solo la luce dell’alba riuscì a districarli prima che la spiaggia s’affollasse di bagnanti e gli ombrelloni aperti togliessero alla sabbia il sottile velo di mistero e di poesia.

   Ora il suo Giulio era disteso su un freddo tavolo di un ospedale. Col passare dei giorni nulla sembrava arginare la sua disperazione. Il pianto straziante, disperato di Adriana risuonava di stanza in stanza fino a perdersi nella stretta via. Si graffiava il petto, si strappava i capelli, se lasciata sola, avrebbe potuto fare qualcosa di insensato.

   Malediceva quell’esserino che si portava dentro, era divenuto ormai la sua ossessione. Pensava di abortire per liberarsi dell’inutile fardello, che inesorabilmente le ingrossava la pancia. Come se la sua vita non avesse più nessuno scopo all’infuori di Giulio, e il patto d’amore suggellato da quella stella cadente fosse stato solo un’atroce beffa del destino.

   Natale s’avvicinava, il primo senza la sua metà. Niente potevano fare i genitori e la sorella Agnese per darle un minimo di conforto. Aveva invano interpellato una cartomante dopo l’altra. E continuava a passare intere giornate a piangere.

   Una notte, in sogno, dentro una luce folgorante, le sembrò di scorgere il suo uomo che tenendole la destra le mormorava: “Smettila di piangere, di fare pazzie. Sono con te dovunque sei tu, quel patto è sempre valido. Nessuno ci separa. Una fiamma fa più luce quanto più scura è la notte. Passerà l’inverno. Quando gli alberi si riempiranno di gemme anche il nostro amore fiorirà.”

   E lei: “Resta, resta qui! Sono morta con te, lo sai!”. Cercava di stringerlo per non farlo scappare, ma si ritrovò nel buio della stanza più sola e disperata di prima. Era solo una costruzione della sua folle fantasia, pensò. E riprese a piangere.

   La pancia cresceva di settimana in settimana, e più lei la odiava, combattuta dall’idea di sbarazzarsi, e nello stesso tempo di tenersi quel peso, che ora le appariva fastidioso e insopportabile, ora piacevole e leggero.

  Una notte gelida di gennaio, scalza, con la camicia da notte addosso, uscì di casa, attraversò di corsa vie e piazze finché si ritrovò alla periferia della città dove una folla di senzatetto, uomini e donne d’ogni età, con la complicità della luna e delle stelle, erano soliti bucarsi per trovare nell’eroina, gemella della morte, una compagna alla loro squallida solitudine.

   La mattina, i genitori e la sorella, disperati, trovarono il letto sgualcito, vuoto. Adriana era scomparsa nel nulla. Essa viveva come una barbona, condividendo su quelle panchine arrugginite la croce degli altri sventurati senza fissa dimora.   

   Erano già sei notti, pensò che fosse arrivato il momento di iniettarsi nelle vene il veleno che doveva portarla in quel paradiso che è invece l’anticamera dell’inferno. Mentre preparava la dose fatale, si sentì prendere per il braccio sinistro, come se qualcuno la scuotesse forte per trattenerla. “Disgraziata, così mi ami? Questo è l’amore che mi giurasti eterno quella notte? Hai una bambina nella pancia. Avrà il mio nome, nei suoi occhi rivedrai i miei occhi, nella sua voce risentirai la mia voce. Non distruggere la tua e altre due vite. Fammi vivere con te nella bambina che nascerà!”

   Un brivido le corse per la schiena. Non era l’ago della siringa che penetrava la vena, ma la voce di Giulio, inconfondibile. Adriana si svegliò come da un incubo improvviso, diede un urlo. La ragazza accanto a lei non fece in tempo a girarsi che era già lontana molti passi a correre finché in non più di un’ora ritrovò la porta di casa. Arrivò sfinita, vacillava sulle gambe. Ai genitori e alla sorella, che stavano angosciati alla finestra ad aspettarla col cuore in gola, quel grido angoscioso “Sono tornata, tornata! perdonatemi!” fu una sorpresa indescrivibile. La sommersero di abbracci e di carezze, perché non pensasse mai più a fuggire.

   Mancavano pochi giorni al parto. Adriana accusava dolori lancinanti. Doveva essere tempestivamente ricoverata in ospedale, il parto si presentava a rischio. Un sudore gelido, quasi di morte, le solcava la fronte. Incurante della mamma e della sorella che le accarezzavano i capelli, stava a occhi chiusi e si lamentava. In un attimo si trovò davanti la sagoma di Giulio e percepì una voce che ben conosceva e che solo lei poteva ascoltare, soffusa di dolcezza: “La chiamerai Giulia, sarà una bambina bellissima come te, come me. Ricordi quella stella cadente? L’amore che giurammo allora non finirà mai, lei lo manterrà vivo per sempre.” E sulle labbra aride e fredde sentì il lungo calore di un bacio.

    La bambina venne alla luce e fu battezzata col nome di Giulia. Col passare dei mesi e degli anni, la mamma, i nonni, la zia la colmavano di baci e di regali per non farle sentire la mancanza di un padre che non avrebbe mai conosciuto. Lei cresceva, paffuta e tranquilla, ma davanti a ogni foto di quell’uomo giovane e sorridente, con un misto di curiosità infantile e di sgomento, non smetteva di chiedere alla mamma: “Perché lui non è con noi? Dov’è? E’ proprio cattivo, perché gli altri bambini hanno con loro il papà, il mio non mi vuole bene.”

   “ Ma no!” rispondeva la mamma. “Lui è più buono degli altri e vuole giocare a nascondino con te per non farti smettere di sognare mai”.

    A sedici anni, Giulia, una magnifica rosa in boccio, aveva smesso da tempo di fare domande. Era la notte del dieci agosto, la notte di San Lorenzo. Agli innamorati piace passarla all’aperto, a osservare in cielo la pioggia di stelle cadenti. Lei camminava in aperta campagna col suo ragazzo, ai confini d’un boschetto. E tutti e due non staccavano gli occhi dal cielo sereno, immenso.

   “Dio, dammi un segnale che il mio papà c’è,” pensava in cuor suo “ e che starò per tutta la vita col mio Johnny.” Aspettarono un bel po’ ingannando l’attesa con ogni sorta di carezze e di dolci parole.

   Una meteora tagliò il cielo, subito dopo un’altra a velocità vertiginosa. Giulia vide in quel doppio astro una conferma ai suoi due desideri e abbracciò con passione il suo ragazzo.

   La casa era lontana. I due ripresero a passeggiare staccando gli occhi dal cielo. E s’inoltrarono nel boschetto rinnovando con i baci e con gli abbracci il giuramento di un amore eterno.