Una notte di quelle notti no! – Racconto di Rodolfo Andrei
Odio le notti d’inverno.
Tristi, fredde e senza senso.
Nuvole d’aria cristallina si plasmano davanti al naso, mentre le parti estreme del corpo rimangono ghiacciate come un bicchierino di limoncello.
A dire il vero odio anche le notti di primavera e anche quelle d’autunno.
Odio tutte le notti.
Come si fa ad amare qualcosa che ti agita, ti scombussola e ti inquieta; creandoti scompiglio dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi?
Ma le notti che odio di più sono quelle d’estate.
Appiccicose, soffocanti e lunghissime.
Le lenzuola ti fasciano il corpo come una tunica di un antico censore Romano.
Tutto intorno un mondo stabile, inamovibile e senza respiro.
Solamente l’immancabile zanzara fa da cornice, e da fastidioso sonoro,
a questo palcoscenico quasi irreale.
Giri e rigiri mille e più volte il cuscino; come Antonio,
il re della pizza, quando lavora il suo impasto magico.
Intanto il ventilatore continua insistentemente a rimestare l’aria della stanza,
dando solo un minimo sollievo ad un corpo in fiamme.
L’orologio alla parete sembra compiere i suoi giri a ritroso,
secondi e minuti si rincorrono a vicenda, tornando poi immancabilmente al punto di partenza, mentre le stanche ore restano a guardare immobili questa gara frenetica.
Una notte infuocata che sembra non voglia finire mai.
Una notte come mille altre notti.
Notti insonni e colme di pensieri che si rincorrono rumorosamente,
mentre con gli occhi sbarrati verso l’ignoto resti immobile a contemplare una taciturna parete.
Quella era una notte di quelle notti no.
Che fare allora? Era lo spinoso dilemma.
Restare seduto sul letto a recitare il mio personale soliloquio ad un bianco spettatore assente, in attesa che le prime luci dell’alba scacciassero gli spiriti notturni, oppure uscire e andare in giro per la dormiente città,
tornando finalmente spossato alla dimora per un, anche se breve,
meritato riposo?
La seconda scelta fu da me abbracciata con forte convinzione.
Presi al volo il primo autobus notturno che passava sotto casa,
senza avere una meta, né un punto d’arrivo.
Sul bus la compagnia della serata era variopinta e multietnica,
anche se un pochino assonnata.
Un giovane homeless se ne stava comodamente seduto su uno dei seggiolini vicini all’entrata, tenendo gelosamente tra le proprie mani una bottiglia di buon vino rosso.
Capelli arruffati, camicia a quadri tinti, molto tinti, e leggero impermeabile color beige scuro, diventato oramai molto più scuro che beige, occhi grandi e faccia simpatica, pur se non pulitissima.
A testa bassa parlava sottovoce tra sé e sé, e ogni tanto alzava lo sguardo lanciando un grosso sorriso ai passeggeri seduti più o meno vicini a lui.
Il posto accanto al ragazzo era ben libero, molti preferivano farsi il tragitto in piedi invece di andare a mescolare colori e odori dei propri vestiti con quello del giovane senzatetto.
Gli esseri umani salivano e scendevano freneticamente dal mezzo pubblico, quasi come a rincorrersi l’un l’altro, senza fare caso affatto a quell’individuo appartato nel proprio mondo.
Alla fermata di Trastevere una signora distinta e ben vestita con la sua giacchetta color beige, stavolta nel vero senso della parola, salì sulla carrozza e, vedendo quel posto libero si apprestava a prenderne possesso.
Si bloccò immediatamente notando il suo futuro compagno di viaggio.
Dette un’occhiata al ragazzo e, schifata da quell’essere per lei indecoroso, storse la bocca in segno di disgusto e, senza proferire parola, si voltò dall’altra parte.
A quel punto il giovane vagabondo, avendo ben visto con la coda dell’occhio la scena e, senza scomporsi affatto, prima si concesse un’altra sorsata di quel suo ottimo rosso, poi alzò la testa ed esclamò:
“Cara Signora se lei non si lavasse… ci sarebbe un bel posto libero a sedere,
proprio qui vicino a me.”
Subito dopo, con quell’aria bonacciona, gettò alla folla un altro dei suoi sorrisi, e, riabbassando la testa, si immerse nuovamente nel proprio mondo.
Quel sorriso fu ricambiato con piacere da me e da altri passeggeri che avevano notato la buffa scena, e scaldò ancor di più la già tiepida serata.
Poche fermate ancora e il bus mi riportò al punto di partenza.
Feci mestamente ritorno alla mia notte no, ma questa volta con un piccolo, inaspettato e gradevole sorriso nel cuore.
Rodolfo Andrei
Nasce in Toscana nel 1961, a quarant’anni si trasferisce a Roma. La passione per la scrittura lo porta a scrivere racconti e piccole sceneggiature, oltre a piccoli testi teatrali Ha pubblicato un libro nel 2011, “Una, dieci, cento storie normali…o quasi!”, parlando in modo ironico della vita quotidiana nella nostra Capitale.